Percezione

“L’artista non solo deve allenare l’occhio, ma anche l’anima“. W. Kandinsky

Per chiarire le nostre difficoltà, prendiamo per esempio il tavolo. All’occhio appare oblungo, scuro e lucido, al tatto liscio fresco e duro; quando vi batto col dito, dà un suono di legno percosso. Chiunque lo veda tocchi e senta sarà d’accordo con questa descrizione, e sembrerebbe non debba sorgere alcuna difficoltà; ma i guai cominciano non appena cerchiamo di essere più precisi. Io credo che “in realtà” il tavolo abbia dovunque lo stesso colore; ma le parti che riflettono la luce sembrano molto più chiare delle altre, alcune addirittura bianche. E so che, se mi muovo, la luce si rifletterà su parti diverse da quelle, così che cambierà l’apparente distribuzione dei colori sul tavolo. Ecco dunque che se parecchie persone guardano il tavolo nello stesso momento, neppure due vedranno i colori distribuiti esattamente nello stesso modo, perché neppure due possono guardarlo esattamente dallo stesso punto, e, cambiando anche poco il punto da cui si guarda, cambia il modo in cui la luce viene riflessa.

[…] Da quanto abbiamo visto fin qui, appare evidente che nessun colore si può dire, a maggior titolo di un altro, il colore del tavolo, o anche di una parte di esso: vediamo colori diversi a seconda del punto da cui guardiamo, e non c’è alcuna ragione di considerarne alcuni come i veri colori del tavolo a preferenza di altri. Sappiamo che anche guardando sempre da quel dato punto il colore sembrerà diverso sotto la luce artificiale, o a un daltonico o a una persona che porta occhiali azzurri, e nel buio non ci sarà assolutamente nessun colore, benché a chi lo tocchi o vi batta il tavolo appaia sempre lo stesso. Il colore dunque non è qualcosa di inerente al tavolo, ma qualcosa che dipende dal tavolo stesso e dallo spettatore e dal modo in cui la luce cade sull’oggetto. Quando nella vita di tutti i giorni, diciamo “il colore del tavolo”, parliamo soltanto di quel colore che esso sembra avere agli occhi di uno spettatore normale che lo guardi da un punto di vista normale in normali condizioni di luce. Ma i colori che compaiono in condizioni di luce diverse hanno esattamente lo stesso diritto di essere considerati reali; cosicché, per non essere accusati di favoritismo, siamo costretti a negare che il tavolo in sé abbia un qualsiasi determinato colore.” (B. Russel, I problemi della filosofia)

Le apparenze ci raggiungono attraverso l’occhio, indissolubilmente coinvolto in misteriose operazioni cerebrali. Le apparenze sono instabili nell’occhio umano, perciò la loro rappresentazione in pittura non è una questione di riproduzione meccanica ma di rivelazione progressiva. Un approccio percettivo alla pittura non è sinonimo di osservazione casuale: la percezione è un’esperienza sconvolgente, disseminata di intuizioni fulminanti. Il pittore che si concentra sulla percezione riconosce che la sua vista è soggettiva, estremamente sensibile a suggestioni e preconcetti, risultato complesso di influenze e pressioni esterne. 

Costruire un’immagine avendo come soggetto un oggetto reale nella sua mutevole relazione con l’ambiente che lo circonda non è una questione lineare. L’oggetto più banale può essere caricato di trascendenza, attraverso uno sforzo concertato di contemplazione. 

Allo stesso modo, l’oggetto più sacro può essere ridotto al regno dell’uniformità più prosaica, attraverso la concentrazione su aspetti materiali. 

In ogni caso, evitando di limitare la pittura a un esercizio che termina semplicemente nel realizzare un’immagine, si può ottenere un’acuta consapevolezza della vista. 

La percezione è più dell’atto del vedere, così come l’ascolto è più dell’atto del sentire. Il pittore impegnato in questo mira a sperimentare più che a tradurre il veduto. La verosimiglianza è solo uno dei molti aspetti dell’arte rappresentativa: altri scopi possono avere la precedenza.

Il percorso della percezione si potrebbe riassumere in questo modo: VERITA’ (realtà invisibile, luce)–> VERO (realtà visibile, oggetto) –> IMMAGINE (proiezione del vero nell’occhio). 

La Verità, che permea ogni cosa, si deposita nella realtà, o natura, manifestandosi attraverso una immagine. Questa l’immagine viene assorbita dai nostri occhi e conservata. 

Quando guardiamo una bottiglia essa proietta un’immagine di sè nei nostri occhi: quello che noi “vediamo” infatti non è la bottiglia in assoluto, ma solo l’immagine di quella bottiglia specifica che i nostri occhi percepiscono. Questa immagine è relativa, perché filtrata dalla nostra stessa persona, che la modifica a partire dalle condizioni che i nostri occhi stabiliscono. 

Questo spiega perché inizialmente ognuno veda una bottiglia diversa, anche se la bottiglia in sé, come oggetto, è unica: in realtà l’oggetto in sé non è significativo per noi, ma sono i nostri occhi, espressione della nostra persona, che, cercando, vi trovano un significato.

Esiste una Verità al di là dell’immagine che percepiscono i nostri occhi? 

L’unica maniera per scoprire questo è provare ad andare al di là dell’immagine, verso la Verità di quell’oggetto e c’è una unica maniera per farlo: osservare, cioè superare il semplice atto del guardare. L’osservazione è come una indagine sui fatti che tenga conto di ogni dettaglio: in Pittura significa misurare comparando, linee, spazi, toni, colori.

Nella nostra libertà noi possiamo decidere se subire gli oggetti della realtà, oppure elaborarli dando loro un senso, un ordine: questo è propriamente ciò che fa l’artista.

Il compito della Pittura, come di ogni altra forma di Arte, è di trascendere l’immagine.

I nostri occhi, per produrre un’immagine nuova, ‘veritiera’ e non verosimile, devono superare l’immagine che viene proiettata in essi, e che essi ricevono passivamente, e spingersi il più possibile dentro l’oggetto: così l’oggetto diviene “soggetto”, cioè  ‘motivo’, come diceva Cézanne, motivo di ricerca. 

Per farlo è necessario ripercorrere il percorso sopra descritto al contrario: partendo dal vero e dall’immagine che esso proietta nel nostro occhio, si deve tornare, attraverso l’osservazione attenta del vero – l’oggetto funziona da ‘medium’- alla Verità unica, assoluta, che è una verità di Armonia, oltre l’immagine: IMMAGINE (proiezione del vero nell’occhio) –> VERO (realtà visibile, oggetto) –> VERITA’ (realtà invisibile, luce).

Nessuno di noi potrà mai cogliere tale Verità in assoluto e definitivamente, ma ciò non toglie il valore di questa operazione, che nella ripetizione conduce alla percezione sempre più chiara e sicura. Da quanto premesso si comprende quanto sia importante in Pittura lo studio ‘dal vero’, cioè su un soggetto reale.

Verso una purificazione dell’occhio.

L’occhio risulta imprigionato nello stereotipo per difetto personale e sociale, possiamo immaginare un cammino che procede dal particolare all’insieme, dalla credenza soggettiva a una verità condivisibile, dalla chiusura all’apertura. Dalla limitazione al illimitato, dal confine allo sconfinato. Questo cammino necessita di una disciplina che si potrebbe riassumere in queste tre fasi successive, che corrispondono alle fasi della Pittura: Guardare-osservare-vedere.

PRIMO: I SENSI. La percezione della bellezza, cioè della luce.

La realtà, o “il vero”, contiene in sé una bellezza non visibile a tutti. Per coglierla è necessaria in primo luogo una sensibilità che vi corrisponda, che dovrà inoltre essere affinata con l’esercizio. L’oggetto appare ai nostri occhi, a seconda della luce che lo illumina, come un fatto speciale e irripetibile. Lo sguardo ne scruta la particolarità, a questo stadio viene naturalmente attratto dal dettaglio e  facilmente si perde in esso. 

È come essere davanti a una forte luce, ci si sente accecati all’inizio, poi pian piano si iniziano a vedere i colori, le forme. Gli “impressionisti” coltivavano l’abitudine di rimanere fedeli alla luce del momento: si dice che Monet portasse ogni volta con sè molte tele iniziate nei diversi momenti della giornata. Questa fase richiede una fedeltà all’oggetto e alla luce che lo illumina in quel tale momento. La ricerca è tutta rivolta all’ esattezza della riproduzione. È giusto che sia così, perché il primo momento di un dialogo è sempre l’ascolto, e si può bene immaginare che tra l’artista e la realtà debba avvenire qualcosa di simile a un dialogo.

SECONDO: LA RAGIONE. La razionalizzazione della luce.

Qui entra in gioco la cultura: l’apprendimento della materia attraverso la tecnica, la storia e l’esercizio costante. Specificamente nella pittura lo scopo diventa la ricerca dell’insieme, il “tutto”, l’armonia delle parti. La percezione del vero viene arricchita dalla visione personale che se ne ha, la sola che può renderla sostanziale e pregnante. Lo sguardo esce completamente da quel primo senso di abbagliamento, perché viene in un certo senso “guidato”, dalla sensibilità personale. Diventa più chiaro il motivo per cui si è scelto quel soggetto, la “prova del nove” per comprendere se la scelta iniziale del soggetto era giusta o sbagliata. Non è raro che a questo punto si comprenda la debolezza dell’ispirazione iniziale, mentre al contrario si potrebbe manifestare la grandezza dell’ispirazione del “capolavoro”. Questa è la fase del discernimento, della crisi, cioè della separazione fra ciò che conta e ciò che non conta, il momento in cui diventa necessario togliere piuttosto che aggiungere. La ricerca della armonia rende necessario il sacrificio di tutti quei dettagli che non servono all’insieme. Le ardite semplificazioni che vediamo nei capolavori dell’arte hanno origine dalla risoluzione positiva di questo passaggio

TERZO: L’ANIMA. La trasfigurazione della luce.

La realtà, osservata con amore e corrisposta da una lettura precisa e personale, si trasfigura, cambia aspetto, rimanda a qualcosa di altro, completamente inedito e insospettabile. Così si può dipingere lo stesso soggetto anche tutta la vita, creando sempre qualcosa di nuovo, come Monet, o Cezanne. Ciò che rende possibile una esperienza tanto straordinaria è la luce, e la nostra risposta ad essa. La luce infatti possiede una proprietà creativa in sé, che è in grado di cambiare completamente il senso dell’oggetto, visibilmente, di trasformarlo. La contemplazione della luce è potente non solo per la persona che la sperimenta, ha la capacità di coinvolgere anche coloro che osservano a un livello molto più profondo rispetto ai gradini precedenti.

Il cammino appena descritto si deve intendere come un avanzamento del linguaggio nel quale l’espressione tende a diventare sempre più comprensibile e coinvolgente nei confronti degli altri.

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